Lo Stato Social, un racconto inedito sulle politiche 2018
Dallo scioglimento delle Camere al voto, un docu-film su Sky mostra le dinamiche social dietro le elezioni politiche in Italia
Quanto hanno influito i social sui risultati elettorali? Una domanda che tocca questa volta agli italiani, reduci dalle elezioni politiche del 4 marzo, una tornata tra le più attese di sempre e che non ha ancora restituito chiarezza sul futuro del paese. In una campagna elettorale senza un confronto televisivo diretto tra i candidati, gran parte della partita dialettica si è giocata tra Facebook e Twitter.
All’influenza di questi ultimi, e all’approccio strategico dei partiti in materia, è dedicato il documentario Lo Stato Social – Le elezioni come non si sono mai viste, in onda domenica 18 marzo alle ore 21.15 su Sky Atlantic e in chiaro su Sky tg24, sul canale 50 del digitale terreste. L’instant doc, parte del ciclo di documentari su Il Racconto del Reale, chiede a responsabili della comunicazione dei partiti, a esperti di comunicazione politica e ai giornalisti di ragionare e spiegare i meccanismi andati in scena sulle piattaforme online, nei giorni precedenti al voto.
Nel docu-film prendono la parola, tra gli altri, Alessandro Di Battista del Movimento 5 Stelle; Luca Morisi, social media manager di Matteo Salvini; l’esperto Marco Montemagno, Federico Ferrazza, direttore di Wired.
Abbiamo intervistato Giorgio J Squarcia, che ha scritto e diretto il documentario, prodotto da LadyBug Entertainment in collaborazione con Sky.
Squarcia, i social c’erano anche cinque anni fa. Quale è stato il grande cambio di passo, rispetto al 2013?
Non credo ci sia una risposta sola.
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Il fatto che Trump abbia vinto sui social, e l’analisi dell’andamento di Twitter e Facebook negli Usa sul fenomeno anche a distanza dal voto, ha fatto alzare le antenne a tutti, anche ai politici italiani. Non si può dare una risposta certa sul fatto che i social influenzino le elezioni, io credo che un po’ lo facciano. I social viaggiano con le proprie regole. Non è facile trasformare un like in un voto, non è automatico; probabilmente è successo anche da noi, se si guardano le metriche i risultati erano chiari.
Come si articola a livello temporale il documentario?
Abbiamo scelto come data di partenza, quella del 28 dicembre, giorno in cui sono state sciolte le Camere. La campagna elettorale era già partita ma da quel giorno i candidati sono partiti con post su Facebook e Twitter in cui dichiaravano aperta la corsa al voto. Partendo dai singoli tweet, presentiamo i social media manager dei singoli candidati; il racconto va dal 28 dicembre fino al 5 marzo. Abbiamo individuato tre persone che avrebbero seguito la campagna solo dal cellulare, quindi i millennial, ragazzi che vanno a votare per la prima volta e non hanno interesse per la tv. Tre ragazze di 18 anni; tre donne perché durante la campagna elettorale sono morte Pamela e Jessica; credo che la vicenda di Pamela abbia influito sulla campagna più di qualsiasi social al mondo. Abbiamo seguito le ragazze e raccontato questo periodo.
Le tre ragazze sono lo specchio dell’influenza dei social?
Mi sono chiesto: chi è la cartina di tornasole di questa campagna? A chi è rivolta la campagna social? A chi si informa sui social e basta. In generale, però, come abbiamo scoperto, non solo i millennial hanno cambiato il loro voto per colpa o merito dei social ma ognuno di noi è stato toccato dalla campagna digitale dei candidati. Le ragazze sono il minimo comune denominatore, i dati indicano che i social hanno toccato più di quella fascia.
Nel claim che introduce il documentario sentiamo affermare che il cellulare è la nuova tv. È corretto dirlo?
Il social media manager di Berlusconi diceva che era convinto che si potesse vincere mediante convergenza, riportando su Facebook o Twitter le apparizioni di Berlusconi, non avendo presenza reale, interattiva. Chi ha scelto solo la tv ha perso; Berlusconi è il primo che ha perso. La gente percepisce quando non c’è il leader dietro l’account; la Bonino è la seconda vera sconfitta, non ha saputo ascoltare la piazza virtuale, andando in controtendenza su tutto e ha perso.
E il Pd?
Renzi era il più performante fino a Macerata, i suoi post avevano il maggiore engagement. Da Macerata in poi è sparito e le poche cose che ha fatto le ha fatte male. Si è nascosto dietro la battaglia delle fake news, che non interessava a nessuno, ha fatto una serie di errori che raccontiamo, inspiegabili strategicamente, un suicidio digitale.
Fake news, camera dell’eco: sono presenti, dal punto di vista nel documentario?
C’era un intero blocco dedicato al tema ma le fake news non hanno influito sulla campagna, chi le ha cavalcate, come scudo, scusa o accusa, ha perso tempo e soldi in questo senso. Non sono temi che aiutano il documentario se non per riconoscere questo dato. Non è una opinione mia ma che arriva dalle interviste.
Cosa capiscono giornalisti ed esperti di comunicazione politica di questi fenomeni? Spesso sono accusati di non capirli per tempo o abbastanza.
Credo che nessuno possa dire, in generale, di capire il fenomeno social, a partire dallo stratega di Salvini; anche i giornalisti sono un passo indietro. Ho affrontato questa avventura con curiosità estrema, ammetto che è difficilissimo capire. Anche Marco Montemagno, che pure è considerato un grande esperto, dice cose che vanno a cozzare con la realtà. Voglio semplicemente dire che è difficile azzeccarci qualcosa prima, dopo sono tutti bravissimi.
Anche sui social vale la lettura della polarizzazione tra fronte populista e fronte anti-populista, che ci hanno regalato i media tradizionali?
I social sono un paradigma di semplificazione; Renzi ci ha provato con post lunghissimi e risultati controproducente. Non è il terreno del ragionamento, ma del conflitto, dello storytelling su un nemico.
C’è una peculiarità italiana del modo in cui i politici si rapportano con gli utenti e viceversa?
Non ho una fotografia così ampia rispetto ad altri paesi, quindi sul comportamento del follower di un paese rispetto a un altro. Posso dire che quella di Matteo Salvini è la seconda pagina di Facebook per numero di follower dopo Angela Merkel in Europa, quindi gli italiani ci sono, hanno interagito e si sono lanciati nella campagna. I millennial sono andati al voto, perché qualcuno ha parlato con loro e la loro lingua è quella dei social. Non è crollata l’affluenza, sono convinto, per questo motivi; i social hanno coinvolto molte persone. La bravura di un social manager può portare a bordo un elettore.
Gli esperti interpellati sono tutti maschi, i responsabili comunicazione dei partiti anche. Come mai? Cosa cerca di dirci la politica?
Una delle strateghe che parla è quella di +Europa; non ha parlato con noi invece la segretaria della Meloni, che pure è la sua social media manager. Io ho scelto Barbara Gasperini, per la consulenza giornalista al documentario. Laura Boldrini e Giorgia Meloni sono state due protagonisti forti di questa campagna, dietro di loro c’erano rispettivamente un uomo e una donna. Forse questa è una cosa su cui vale la pena di riflettere.
I politici hanno rinunciato, anche sui social, a essere meglio di chi li segue?
Secondo me l’ambizione di un politico deve essere quella di essere allo stesso livello degli elettori. Se tu fallisci in questo, non hai comunicazione. Se non ti metti sullo stesso livello non va da nessuna parte, è tutta una strategia anche quella.
I social contano anche in questa fase post elettorale?
Mi piacerebbe ma secondo me hanno esaurito il loro scopo. Adesso tutto avviene nei palazzi, non c’è bisogno dei voti, il popolo di Facebook è alla finestra. Ma chissà, forse sarò smentito.